Paolo Punzo, i colori delle montagne
di Flavia Cellerino
Forse non ci pensiamo mai abbastanza, ma la pittura di paesaggio si è forgiata, quasi senza consapevolezza, proprio sulle montagne.
Tra Quattrocento e Cinquecento, quando la cultura del vedere e del rappresentare il veduto, diventa disciplina rigorosa, scienza di misura e di pensiero – oltre che di emozione e di sogno – gli erti fondali divengono sempre più cifra di verità, richiamo ad esperienze personali, prova di virtuosismo pittorico,connessione con la storia.
L’elenco dei pittori che si sono dedicati alle montagne è sterminato, con grandi nomi che vanno da Compton a Segantini, spaziando in tutta Europa. In questo elenco trova una sua collocazione precisa, Paolo Punzo.
Riprendendo il sentiero: “Dipingere dal vero non è copiare l’oggetto, è trasmettere le proprie sensazioni”.
Quando Paolo Punzo ha qualche mese, è nato il 1 marzo 1906 a Bergamo, muore a Aix-en-Provence Cezanne, il pittore che fu padre al Novecento artistico, autore della frase sopra riportata.
Cezanne fu cantore della pittura di paesaggio, del paesaggio aspro e sensuale della sua Provenza, dominato dalla calcarea punta della Sainte Victoire: il suo amore, la sua ossessione, dipinta sempre e ancora. Su quella montagna e da quella montagna promaneranno quasi tutte le rivoluzioni e le avanguardie artistiche del primo Novecento.
Punzo non appartiene a quest’ultimo mondo, da autodidatta sperimenta, piuttosto, la versatilità del suo pennello che si muove agile sulla tela, definendo i profili delle vette, mentre lavora en plein air, secondo procedure tipicamente ottocentesche. Gli appartiene, invece, la capacità di concentrarsi sul soggetto, di sentirlo ogni volta come nuovo, di ripresentarlo al suo pubblico in una veste fedele e nel contempo originale.
Forse è per questo che la sua pittura non scivola mai nella banalità da cartolina, nell’aneddotica illustrativa, anche quando sceglie, per la sua committenza urbana, di reiterare montagne e profili.
In esse ritroviamo la tensione verso la luce che rivela superfici, anfratti, pieghe della roccia, nevai, forma della montagna e un punto di osservazione privilegiato, ripetuto: il laghetto che diventa balconata sul resto della veduta, retaggio della grande tradizione di pittura montana sviluppatasi proprio in Lombardia, con la regia dei maestri di Brera.
Era stato Filippo Carcano (1840-1914) già dagli anni settanta dell’Ottocento a nobilitare le Alpi e Prealpi lombarde, magnificandole con la splendida veduta del Ghiacciaio di Cambrena del 1897. Al maestro si erano affiancati, tra gli altri, Carlo Cressini (1864-1938), cultore di squarci valtellinesi, sino a giungere al più famoso Giovanni Segantini (1858-1899).
Paolo Punzo ha davanti a sé – quindi – nobili esempi, modelli importanti in termini tecnici e per il consenso unanime che hanno riscosso; riesce, tuttavia, a percorrere una strada autonoma raccogliendone gli insegnamenti.
La sua originalità, probabilmente, sta nella sua lontananza dall’ambiente accademico alla quale corrisponde la vicinanza al CAI, che promuoverà con costanza le sue opere a partire dagli anni Trenta, segnati dalla grande esposizione a Sondrio del 1935.
La militanza alpinistica lo protegge dalle elaborazioni concettuali che sono comuni ai pittori che arrivano alla montagna dalla formazione specializzata di Brera o delle altre scuole mantenendolo su un piano di solido contenuto realistico. In questo senso è più vicino al Theodore Compton (1849-1821) il grande pittore londinese, divenuto illustratore celeberrimo di scenari nei quali si muoveva con abilità alpinistica pari a quella pittorica, ma sempre fedele alla verità della visione e mai incline all’interpretazione.
Figlio di un militare di carriera di Nola, vicino a Napoli, nasce a Bergamo e si incardina in una cultura locale lontana dalle sue radici, ma che diverrà profondamente sua e che rimarrà tale per tutta la vita.
Da Bergamo a Milano, poi ancora a Bergamo, i soggiorni in Valtellina e in Valmalenco, a Chiareggio, presso il Monte Disgrazia, una tra le montagne più dipinte, trascorrono gli anni tra le due guerre, segnati dall’affermazione del fascismo e da una mitologia dell’Alpe che rimane estranea alla pittura di Punzo. D’altronde la pittura di paesaggio, e proprio del paesaggio alpino, è praticata da altri pittori in quegli anni difficili e pericolosi, quasi come sicuro rifugio dalle tempeste ideologiche: penso, ad esempio a Ubaldo Oppi (1889-1942) e ai suoi paesaggi dolomitici.
La fine della guerra moltiplica la sua attività, grazie alle tante mostre in località che stanno aprendosi a un turismo sempre più diffuso come Cortina, attirando l’attenzione di felici penne giornalistiche del “Corriere della Sera” (come quella di Buzzati, a lui molto affine per comuni passioni, o di Borgese) che lo declamano “pittore della montagna”. In realtà Punzo è discepolo pluricorde del paesaggio, sapendo descrivere marine di Liguria con intensità pari a mazzi di fiori e luoghi esotici, ma le montagne restano la sua cifra più propria.
Ed in esse, a ben guardare, scioglie e stempera il fluire del tempo: le linee delle ultime opere sono meno nette e decise, si fanno più morbide, abbracciano le forme e non le disegnano più in modo audace, incedono lente, quasi espressionistiche senza abbandonare la realtà.
A riprova che Paul Cézanne aveva ragione: “dipingere dal vero” è “trasmettere emozioni”. Le emozioni cambiano nel tempo che ci attraversa la vita, e cambiano la vista dei luoghi che amiamo: sempre gli stessi e sempre diversi, come i monti di Punzo.
Partner
Promossa da:
Con il patrocinio e il contributo di:
Con il patrocinio di:
In collaborazione con:
Progetto mostra e catalogo:
Welcome – Bergamo
Campagna fotografica:
Giovanni Spreafico
Fotografie paesaggi alpini:
Alberto Locatelli
Contributors:
Flavia Cellerino
Giorgio Cortella
Franco Monteforte
Main Partner:
Gold Partner: