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Biografia

La vita

Paolo Punzo

il ``pittore della montagna``

di Franco Monteforte

Paolo Punzo è nato a Bergamo il 1° marzo 1906, quarto dei sette figli di Antonino – un ufficiale di Nola (Napoli) trasferito nel 1901 al distretto militare della città lombarda – e di Angiolina Rizzo. Non se ne conoscono bene gli inizi della carriera artistica, maturata con tenace volontà di autodidatta, che intraprende presto, sfidando la volontà del padre che lo avrebbe voluto commerciante di vini e liquori. Nel 1929, dopo il matrimonio con Alda Lardini, va a risiedere a Mediglia vicino a Milano, dove nel 1932 nasce il suo unico figlio, Donatello, anch’egli, sulle orme del padre, pittore paesaggista.

Nel 1939 muore la moglie Alda e, l’anno dopo, Punzo si risposa a Bologna con Nives Baschiera, una ragazza di Fiume, con cui nell’ottobre del 1940 va ad abitare a Bergamo, accanto alla casa del padre, al 31 di Via Porta Dipinta.

Non è estranea forse a questa decisione, accanto al desiderio di riavvicinarsi alla famiglia paterna, la passione per la montagna e per la sua rappresentazione. Fin dal 1928, infatti, Punzo aveva preso a frequentare le montagne della Valtellina, come testimonia il libro dei visitatori della Capanna Marinelli, iniziando a dipingere scorci paesistici in Valfurva – dove nel ‘44 adatta a proprio piccolo rifugio una vecchia stalla sotto la parete Nord del Tresero ancor oggi nota come “la baita del pittore” – in Valmalenco, sul lago Palù – dove si sistema in una vecchia casina di caccia – e a Chiareggio, ai piedi del Disgrazia, una delle montagne da lui più amate.

Nascono così i suoi paesaggi alpini per lo più improntati a un paesaggismo epico e celebrativo della vetta e dell’ambiente d’alta quota, che, all’inizio degli anni Trenta, finisce per incontrarsi con la mistica fascista della montagna cara al regime mussoliniano. Estraneo al coevo dibattito sul Novecento e sul ritorno all’ordine alimentato da Margherita Sarfatti, Punzo diventa così, in ambito lombardo, il “pittore della montagna” per eccellenza, grazie anche al suo legame col CAI – il Club Alpino Italiano, trasformato dal regime in veicolo del proprio spiritualismo eroico della vetta e dell’alpe – su invito del quale tiene nel 1935 una vasta personale a Sondrio, nella sala del Consiglio comunale e a Milano nella sede stessa del club, dove continuerà a esporre ancora negli anni Sessanta.

Ma non è tanto con l’appoggio del CAI, cui Punzo rimarrà sempre legato anche nei decenni successivi, che la sua pittura si afferma. Ciò che caratterizza il paesaggismo epico di Punzo, infatti, è un’autentica sincerità dell’ispirazione e una spontaneità esecutiva che, insieme all’innato gusto realistico per una pittura dal “vero”, ne fa un tardo epigono della grande stagione del realismo naturalistico lombardo della seconda metà dell’Ottocento, come dimostra anche un gruppo di paesaggi di montagna degli anni Quaranta animati dalla presenza di pastori e mucche al pascolo nella cornice delle Alpi, sempre raffigurate, altrimenti, nell’imponente severità della vetta e del ghiaccio o nella tersa tranquillità dei laghi alpini d’alta quota, anche questo uno dei soggetti più ricorrenti nella sua pittura. In questo senso i paesaggi alpini di Punzo vanno ben al di là della retorica fascista della “lotta coll’Alpe” o del “silenzio inviolato delle altezze” e non si lasciano facilmente ridurre ad essa. L’entusiasmo di Punzo per la montagna, peraltro, non è quello dell’artista che contempla, ma è quello del pittore-alpinista che sale in cordata e bivacca in quota attendendo l’alba, alla ricerca dell’atmosfera paesistica d’alta quota che è ciò che soprattutto egli si sforza di rendere nei suoi quadri. Per Punzo, infatti, l’emozione di fronte a una vetta o a un paesaggio alpino è direttamente connessa alla “verità” della sua rappresentazione.

E sono proprio queste caratteristiche di onesto e pulito tradizionalismo artistico della sua pittura che spiegano il favore del pubblico e l’atteggiamento benevolo della critica anche dopo la guerra e che gli assicureranno sempre una buona clientela cittadina di appassionati che rivivono nei suoi quadri, scrive Letizia Scherini, “l’emozione degli orizzonti delle proprie vacanze estive e invernali, finte finestre appese alla parete spalancate su panorami di montagne dai ben noti profili.”
Sull’onda di questo generale apprezzamento, si fa frenetica, a partire dagli anni Trenta e per tutto il corso degli anni Cinquanta e Sessanta, l’attività espositiva di Punzo a Sondrio, a Bergamo, a Milano, a St. Moritz, a Cortina, che gli assicura una buona notorietà e una solida posizione economica.
Saranno del resto proprio un gruppo di critici e scrittori, da Leonardo Borgese, a Vittorio G. Rossi, da Fulvio Campiotti, a Salvator Gotta e a Dino Buzzati, anch’egli pittore e alpinista, a consacrarne nel dopoguerra l’immagine di “pittore della montagna” sulle colonne del “Corriere della Sera”.
Punzo, tuttavia, non dipinge solo paesaggi alpini d’alta quota, ma anche ambienti urbani di montagna, cittadine alpine come Sondrio, Morbegno o Merano (dove risiede il fratello), di cui cerca di cogliere lo spirito e i segni dell’incipiente modernità con uno stile meno paludato e accademico, ma più sciolto e aperto alle novità espressive dell’arte moderna, lo stesso stile che contraddistingue il nutrito gruppo dei suoi soggetti floreali degli anni Sessanta e di cui nella sua opera si avverte l’influenza via via che proseguono in quegli anni i suoi viaggi e i suoi soggiorni in Africa, in America Latina e in Perù. Le premesse di questa svolta stilistica sono già, del resto, proprio in alcuni dei paesaggi alpini degli anni Trenta e Quaranta, meno legati alla poetica naturalistica e alla retorica dell’epica d’alta quota, in cui la ricerca formale si fa più complessa e sofisticata come nei paesaggi marini della Liguria e di Portofino, dipinti a partire dagli anni Quaranta, che costituiscono un ciclo in cui il vecchio “pittore della montagna” si mostra anche artista di mare e di costa, come notò già nel ’52 sul “Corriere della sera” Vittorio G. Rossi, anche se con esiti non sempre convincenti.

E in realtà, considerando tutta la sua carriera artistica, bisogna oggi riconoscere che la qualifica di “pittore della montagna” suona alquanto riduttiva, perché Punzo fu pittore di paesaggio nel senso più pieno e completo del termine, anche se solitario e alquanto appartato dagli sviluppi dell’arte lombarda di questo dopoguerra.

Punzo è morto a Bergamo il 31 marzo 1979.

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